Sarveshwari è presente nella fede

 

Discorso tenuto in occasione del navaratra autunnale il 26 settembre 1987 presso la Sarveshvari Samuh – Ganesh Pith – Parav – Varanasi

Reverende Madri e cari confratelli,

In questa  serata  di Navaratri in cui ora si sta tenendo un seminario, voi siete completamente assorti nell’ascoltare le parole di discorsi che siete in grado di comprendere; su tutti i riti, le puja e le meditazioni che stiamo facendo, voi fate domande ora su questo ora su quello; perchè invece non  chiediamo di non dover essere costretti a rivolgere altre preghiere e richieste in questa vita?

O Bhagvati, o Mahamaya, o Jagadamba (Madre del mondo) fa’ sì che io non sia costretto a rivolgerti preghiere e suppliche in continuazione, poiché rivolgendoti continuamente preghiere capisco che spreco il mio e anche il tuo tempo e così non vengo a sapere come e che cosa dovrei conoscere.

Fratelli, finora eravamo stati cacciatori di cadaveri e così li mangiavamo e li servivamo compiacendoci per averli catturati; però non abbiamo mai compreso che cacciavamo cadaveri.

I Guru, i Mahapurusha (grandi uomini) vanno a caccia di vivi e li offrono come “preda” e la loro caccia è così eccellente da fargli ottenere un’esistenza brillante in cui riescono a comprendere, a fare e anche a realizzare davvero molto, avendo anche il favore e la grazia di quella Grande Maya (Mahamaya).

All’arrivo della sera e del buio incomincio a spaventarmi, che cosa succederà? Non dovrò, spero, passare tutta la mia vita in questo buio? Voi avete visto che in questo Ganesh Pith e nel Pith di Bhagvati molte lampade sono state accese, proprio per eliminare quel buio.

Fratelli, proprio così, anche se nella  nostra vita ci fosse ancora il buio, sta per arrivare la luce; che cosa farò ora? Uscirò con la mia tenda e sprofonderò nel buio di tutta la città, ma la mia piccola lampada o il mio piccolo lume sono pronti a darmi una fulgida luce. L’arrivo della notte da una parte e anche quello della luce dall’altra e il rumore ci rammentano che se non fossimo disperati, saremmo pieni di speranza.

Certamente ciò che è per noi effettivamente vero, ci porterà fino a destinazione e quindi al successo. Non dobbiamo essere completamente senza speranza. Qualunque cosa stiamo facendo direttamente o stiamo per far fare ad altri, nasce dalla generosità, dalla gentilezza e anche per la nostra piccola parte non c’è alcun orgoglio.

Oggi molte persone vivono sulla terra, ma non hanno alcun rapporto tra loro. Non c’è alcuna relazione fra il luogo e il tempo in cui dovrebbero fare qualcosa. Essi hanno lo scopo di riempirsi la pancia,  di prendere sonno e di fare i propri bisogni corporali; sulla terra non c’è quindi alcun’altra  particolare differenza fra costoro e gli animali; né serve dirsi, vorrei diventare una brava persona, vorrei essere un brav’uomo, vorrei avere buone relazioni, buoni pensieri e intenzioni. Un po’ a causa delle cattive compagnie siamo regrediti, un po’a causa dell’ambiente siamo rimasti indietro.

Forse un Mahatma aveva desiderato che quella persona sarebbe diventata un brav’uomo un rispettabile  padre di famiglia, uno stimato capo clan, sebbene la sua condotta nel clan ci sia nota, io so che vive in un piccolo posto, in contatto con poche persone e così finora è trascorsa la sua vita. Il Mahatma aveva certamente sperato  che sarebbe  diventato un individuo istruito, capace di rendere colti altri individui di diversa estrazione, diciamo come: raja, maharaja, studiosi, Santi e Mahatma. Frequentandolo non possiamo però sapere che è un individuo che viene da un piccolo posto e che vive a contatto con poche persone, e che è stato allevato e cresciuto con pochi riti e semplici cerimonie; dopo aver fatto molti iniziali tentativi, non era pronto ad andare nel mondo.

Il sadhu disse: “Sappi che se tu vuoi vivere ad alto livello sociale, a contatto con persone di alto rango, devi incontrarci e frequentarci, questo è il mio suggerimento.” Alcuni giorni dopo egli arrivò; il Mahatma lo accolse e gli fece fare  pratica, fece così tanta pratica che acquisì la capacità di stare in mezzo a raja, maharaja, imperatori, soldati, ricchi Seth, (affaristi, banchieri, ecc.) e Santi Mahatma, egli lo rese proprio capace di ciò; e finché faceva pratica di Bhagvan, che è come adorare Dio, si sforzava di conseguire le sue qualità divine.

Per puro caso sua madre non gli aveva preparato alcun programma, prima quindi  doveva andare a conoscerlo; “Orsù vieni a veder questo programma. Là arriveranno  molte nobili persone con le quali ti potrai incontrare, e questa tua frequenza ti potrà apportare tanta nobiltà da renderti luminoso, e ciò diventerà una prova anche per me.”

Da questo comportamento risulta evidente che colui che era arrivato da un piccolo posto, che viveva in una capanna o in  una casupola da dove i bambini ancora piccoli venivano scacciati e giocavano  nel fango, oggi è invece diventato una persona di prim’ordine, un individuo di buona cultura, dotato di modi civili e gentili, e il Mahatma presso il quale a quel tempo fece pratica fu di certo molto felice; così fece  ritorno alla  capanna del maestro a portagli da bere e da mangiare, così continuò a manifestare il suo grande amore e in questo modo proseguì nella sua pratica. Un giorno per caso, in seguito a un invito, molte persone importanti si erano radunate, quando anch’egli, come un discepolo, un uditore  giunse là, nessuno lo riconobbe, nessuno sapeva che egli era quel tipo sempliciotto che aveva l’abitudine di vagabondare qua e là e che era una persona insignificante.

Egli aveva imparato a comportarsi, come, dove e quando sedersi, quando e come  alzarsi, le buone maniere, la gentilezza, quando e con chi parlare, quando non farlo, come dire, ritto in piedi le preghiere domestiche, come rivolgere le preghiere alla divinità per i propri antenati, quelle per gli anziani e quelle per i giovani, come comportarsi con i bambini, tutto ciò egli aveva ben appreso.

Dopo che fu ritornato alla sua capanna, quel sadhu gli disse: “Fratello, sono stanco, ho camminato a lungo, toglimi gli zoccoli, va’ a prendere un po’ d’acqua e lavami i piedi.” Egli, gettandogli gli zoccoli addosso, gli disse: “Lei mi ha condotto molto in alto, mi ha reso davvero diverso, mi ha ordinato di spazzare strade, come agire e come comportarmi, come scacciare i pensieri particolarmente impuri; mi ha evitato la completa rovina, quando come un cane randagio andavo qua e là e così avrei passato tutta la mia vita, disprezzando e calunniando  gli altri, vedendo e dicendo male del prossimo. Passare la vita in questo modo, sarebbe stata davvero una grande disgrazia e che disgrazia! Il mio compito sarebbe stato quello di colpevolizzare il prossimo. Lei però mi ha fatto fare tanti buoni e diversi esercizi e  pratiche, e facendomi vivere in posti e in comunità davvero ordinari e umili, così ora avendo molto imparato non mi considero più discepolo, dato che lei mi ha condotto in luoghi veramente eccelsi.”

Fratelli, questa è anche la nostra situazione; anche se speriamo completamente in Bhagavati, in Bhavani (Durga), nella Devi, talvolta anche la nostra mente diventa deviata e corrotta; e in noi nascono malevoli sentimenti, e finché codesti sentimenti continuano a sorgere in noi, dovremmo capire che la nostra pratica ascetica, la nostra meditazione, i nostri riti devozionali diventano per noi come il veleno; così noi diventiamo torpidi e ottusi; simili a coloro che hanno un comportamento indecoroso e sconveniente; e proprio così, se noi dovessimo adottare un simile incivile comportamento, criticando il prossimo e spargendo zizzania, non dovremmo mai farci coinvolgere da codeste azioni , soprattutto perché se da esse ci faremo trascinare, non sapremo se siamo qui o là e saremo come il re Trishanku che, sospeso in mezzo fra il cielo e la terra, non sapeva dove sarebbe andato a finire.

Il saggio Vishvamitra, grazie ai suoi grandi poteri, tentò di mandare fisicamente in Cielo il re Trishanku; Indra però si rifiutò di farlo entrare, così Trishanku rimase sospeso fra il Cielo e la Terra, si dice quindi che non era né qui né là.

Fratelli, in questa vita, in cui facciamo la pratica, i riti, la contemplazione e la meditazione, che cosa chiediamo in continuazione nelle nostre preghiere? Io qui chiedo così: “O Madre Bhagvati fa’ che in questa vita io non possa mai chiederti nulla; donaci copiosamente le cose necessarie, in modo che non avremo più  bisogno di nulla e se non avremo più bisogno di nient’altro, non dovremo più rivolgerti altre preghiere o suppliche, qualunque cosa mi darai, la prenderò a mani giunte e mi tirerò indietro.”   

Se tutto ciò che avremo ottenuto, sarà in quantità sufficiente, allora terremo lontana la povertà e le sofferenze, se invece conosciamo il tormento dell’ignoranza e della povertà, finiremo per andare a “caccia di cadaveri”, mentre mai saremo andati a “caccia di esseri viventi”. La caccia di cadaveri ci riempirà di nauseabondo fetore che ci causerà grande fastidio e angoscia, cosicché la nostra mente sarà tutt’altro che calma e libera.

Inoltre la pratica che desidero fare, anche se fatta, farà ben poca differenza. Quel mahatma aveva dato gli zoccoli, perché voleva verificare se quell’individuo aveva superato la vecchia mentalità, purtroppo però tale vetusto modo di pensare sussisteva ancora, cosicché il discepolo gli tirò addosso gli zoccoli. Egli pensava così: “ Io sono diventato completamente finto e artefatto, poiché non sono spontaneo e naturale e la mia spontaneità non era di nessuna casta, né faceva parte di alcun modello di comportamento, né la mia gente a sua volta si comportava verso di me con la stessa spontaneità.” Supponete che noi non conosciamo, come esempio la condotta morale e la tradizione esemplare  di molti uomini e dove il loro esempio ci potrebbe condurre, ignorando tale condotta e la relativa tradizione, non saremo spinti verso di essa ma la eviteremo, se egli commette cattiverie, diffonde maldicenze e calunnie. Se invece agisce con propositi benevoli, allora ne avrà un gran bene, ma se invece non agisce così ma per altre ragioni, non conoscendo per quali ragioni agirà, forse la cosa non gli sarà favorevole, così come non lo sarà per nessun altro. Fratelli, che si sappia bene che cosa ci sarebbe  favorevole e che cosa non lo sarebbe.

Se facciamo la meditazione e la puja alla Devi, a Bhagvati o a Bhagvani, ciò dovrà riempirci di  onore e fierezza, si dovrà vedere e sapere che in noi non c’è più mancanza di controllo e indisciplina e che a causa di questa mancanza di controllo stavo andando completamente alla rovina e stavo altresì rovinando anche la tradizione dei Guru. Io stavo portando allo sfacelo anche la tradizione attuale  dei gentiluomini. Forse per questo sono nato ? E’ forse questo il mio dovere? Orsù fratelli, questo genere di buio ci causa paura nella vita. Come a mezzanotte, così a mezzogiorno la nostra vita trascorre nel buio; non ci fa ottenere nulla, facendoci vivere nel timore, mentre la vita che ha anche solo un po’ di luce e un po’di sentimenti, si vive come se fosse  mezzogiorno e può donarci  una buona e bella luce anche a mezzanotte, la luce di molte lampade ad olio profumato; così il buio della notte viene squarciato, e la vita diventa veramente libera, non più soggetta ad alcunché e degna d’esser vissuta.

Finché si è su questa terra, si è soggetti al trascorrere del tempo; per tutto il tempo che siamo soggetti al destino, siamo altresì soggetti a provare gioia e dolore. Fratelli, se la nostra vita è in ogni istante oppressa dal buio, che vita mai sarà? Come passerà, come sarà il nostro presente, il nostro futuro?

Orsù fratelli, per ogni cosa affidiamoci all’aiuto del “tutto me stesso”, perché dove c’è “il tutto me stesso”, c’è il devata sconosciuto, che certamente ci porta e ci porterà qualcosa e in esso dovremo avere piena fede, cosi come dovremo averla per la  Devi, il Devata, Bhagvan o la Madre Bhagvati e quando cominceremo ad aiutarci, anch’esso ci aiuterà, ma se invece non ci aiuteremo, nessun altro ci aiuterà; se noi stessi non ci proteggeremo, non potremo avere alcuna protezione, se al contrario noi stessi cominceremo a proteggerci, allora anche la nostra protezione sarà possibile.

Fratelli, è proprio così! Quando ripeto il mantra in continuazione, faccio la contemplazione e la meditazione, quando ripeto continuamente il japa e in esso sono profondamente raccolto, quando sono concentrato in me stesso, mediante la mente calma, annullando i sensi, sono  profondamente  immerso in me stesso, e in questa situazione profitto o perdita sono la stessa cosa, questa è una condizione  al di là del profitto o della perdita, che fa ottenere qualcosa a me stesso, se invece non si è ottenuto, significa che per molti giorni in questo mondo c’è stato molto poco, tutto questo non è stato comunque inutile; in un luogo o in un altro, da qualche parte ciò continua ad esserci.

Fratelli, l’adorazione, la meditazione, la contemplazione della nostra gente, (è come il dolce del ghi che rende dolce anche l’amaro) ci apporta un tale gusto, una tale gioia da diventare dolcezza.  Quindi sia che siate consapevoli o ignari, qualunque buona azione facciate, certamente ne riceverete il buon  frutto.

Sia che siate consapevoli o no, se fate una cattiva azione ne avrete una cattiva conseguenza, ripeto ciò avverrà sia che ne saremo consapevoli o ignari; non c’è perdono, né misericordia, dato che, in questo caso, tolleranza e perdono vengono considerati alla stessa stregua di un crimine.

Fratelli, io a Bhagvati, a Bhavani, a Prakriti, rivolgo questa preghiera quotidiana, che ora  la luce possa far svanire le tenebre dalla nostra vita, sì o Madre, illuminaci, affinché il tempo della nostra vita possa per noi passare bene e con questa speranza, oggi da voi mi congedo, dato che la mia scarsa salute non mi consente di farvi compagnia, domani, se la mia salute sarà buona, vi terrò compagnia facendo un  discorso.

Saluto la Madre Bhagvati insita in voi e fatta la mia preghiera, qui concludo.